Racconti Artigiani

L’Artigiano che inventò la scuola del Presepio Napoletano

Si dice che uscisse presto Sanmartino,
la mattina, quando ancora è notte e il mare da
Megaride, sembra tutt’ uno con la rena e la
chiaia.
Perché poi? Non è tutto sommato abitudine
napoletana. Lui avrebbe sostenuto di cercare
l’ispirazione,
i volti sono più veri con i colori dell’alba.
Non estenuati dalla giornata e dalle sue pene,
le espressioni,
i gesti, istintivi e non ancora regolati
dall’esperienza,
dalle ore vissute.

Girava largo, Giuseppe Sanmartino, colui che
inventò
la scuola del presepe napoletano , su per Via
Toledo,
per i quartieri spagnoli, i decumani fino a
scendere
verso il mare. Ogni volta era una scoperta,
ogni abito
popolare uno stereotipo di terracotta ogni
“sporta”,
ogni “panaro” , come dicono qui, un
suggerimento.
Gli Artigiani, quelli più difficili da fare.
I fabbri, classico di ogni presepe, tozzi e
muscolosi
.C’era qualche bottega in centro, ma non è
che a Napoli abbondassero. Eppoi , le
lavandaie giovani
e robuste, il falegname antitesi antica e
ripetuta del
fabbro, con una materia da plasmare più
rassegnata
e creativa. Ma Lui curava il dettaglio,
l’espressione
o meglio ancora rendeva lo stupore negli
occhi, sulla
faccia, proprio quando la “notizia” più
importante di tutti i tempi li raggiungeva, da
parte
degli angeli. Quello stupore attonito, ma
pazientemente
individuato perché da lì parte il tempo,
il tutto, la nostra civiltà, la nostra
speranza.

I volti , quante varietà è possibile
raggiungere,
rappresentare, esprimere? Quanto c’è di
già visto, di ricordo e quanto di previsione
di destino? Quante combinazioni umane e
artistiche,
si possono caratterizzare? Cambia un
particolare una
linea e tutto cambia, per non parlare della
personalità
, può un’impressione renderla? Il poeta,
almeno, ha l’onomatopea, l’allitterazione
ha tutto il suo repertorio dell’inventio”.
Ma con la terracotta come si fa? Come non ci
rende ridicoli,
quasi caricaturali se l’argomento è Sacro
e deve dare l’idea di un attimo, che ha
riscattato
l’eternità? Eppoi, il popolo, si doveva
immedesimare, compenetrare. Perchè proprio a
Napoli tanta devozione alla rappresentazione
sacra,
al Presepe? Era dall’anno 1000, a memoria, su
a Santa Maria, che ci si pacificava e riuniva
davanti
a un Presepe e ora nobili e ricchi borghesi
facevano
a gara su chi avesse il più bel presepe.

Del resto Napoli era, forse, la città più
popolosa al mondo,una vera capitale di un
grande regno
ma il popolo era allo stremo, alla
disperazione la dominazione
spagnola aveva fatto i suoi danni oltrechè
politici
culturali, trasmettendo, anche, umanamente
molte componenti
caratteriali. A volte non si sa e non si
sapeva quanto
c’è di napoletano in uno spagnolo o in
uno spagnolo di napoletano. Certo, i
napoletani non
avevano e non hanno il senso tragico
dell’esistenza
degli hidalgo, con più orgoglio, meno celia,
più disperazione. Tante “Pagliette”
(avvocaticchi) a Napoli (come ce ne sono anche
adesso
) una proporzione abnorme per la popolazione e
anche
i motivi più futili erano occasioni per liti
e controversie, che solo nei casi migliori
giungevano
in tribunale spesso finivano lì sul
marciapiede.

Ma davanti al Presepe, ci si chetava, si
sceglievano
i pastori, gli si davano i nomi o gli
appellativi più
affettuosi: per esempio Benino quel pastorello
che sembra
non accorgersi di niente, accovacciato lì in
un posto qualsiasi a dormire. Metafora di
Napoli e della
sua gente che puoi essere Barone, Re o
Cardinale ti
comunica la sua indifferenza o addirittura il
suo scherno,
succeda quel che succeda. A meno che non si
infatui,
ma solo per poco tempo.

I “suonatori” e gli zampognari quelli
dell’ammuina,
che a Partenope ci sono sempre, i vecchi più
icastici e romantici, i nuovi più sguaiati e
insopportabili, ma sempre esaltati da una
melodia via
via sempre più allegra poi sempre più
malinconica infine triste e rassegnata per
certi versi
disperata e straniata. E ancora in alcuni più
suggestivi presepi, quel pettirosso a
sfarfallare le
ali sulla brace fino a sfinirsi , forse fino a
morire,
affinché la povera fiamma, allegoria della
speranza
divina , che riscaldava il bambino Gesù, non
si spegnesse , tutta la notte, insieme al
fiato del
bue e dell’asinello. Batteva le alucce forte,
perché la cenere non prevalesse, dando
ossigeno
al fuoco.

Povero uccellino, ricompensato dal Signore,
per questo
suo merito, generoso, con il suo petto rosso,
omaggio
orgoglioso e distinto, come uno stemma, come
un motto
eterno: “Ho aiutato il Signore”.

Tornava stanco la sera Sanmartino, ma pago
soddisfatto
forse sapeva di avere espresso, una cultura
una tradizione.
Sembra che avesse il suo presepe, la sua
Betlemme personale
fatta di volti cari e di sguardi rubati e lì
si raccogliesse in preghiera. Allungava la
mano in quel
proscenio eterno per sentire il freddo e
poneva l’orecchio
per sentire il suono, tanto il tutto era vero e
reale
e forse sentiva veramente la melodia delle
zampogne
e anche lui era lì con gli altri in un gesto
senza tempo, a cancellare finalmente il senso.

Del resto cos’è un presepe se non un luogo
incantato nel quale ci si vorrebbe collocare
per trovare
la pace che si cerca, quella stessa pace che
ispirano
i suoi personaggi? L’amore, l’amore assoluto,
essere vicino a quei Tre, a quel Batuffolo che
è
il paradigma dell’Universo e la semplicità
del miracolo della vita. Forse per questo non
si fanno
più tanti presepi, perché gli uomini amano
sempre meno e non credono, non sperano.

Ma a Napoli, no! Grandi maestri artigiani a
San Gregorio
Armeno e non solo continuano l’arte di
Sanmartino
riunendo i personaggi, sempre attuali, a volte
con qualche
licenza al limite della blasfemia, ma sempre
con la
liceità della speranza. Continuano con i
personaggi
di oggi a rendere attuale l’incanto questi
benemeriti
perché aspettano tutti un improbabile
prodigio,
come quello che è stato il prodigio dei
prodigi
per esserci anche noi affinché tutto si plachi
e tutto riprenda. Anche quel pastorello laggiù
si svegli e sorrida dicendo “io lo sapevo già
per questo dormivo”. Un giorno ci
risveglieremo
tutti sorridendo. Finalmente e per sempre.
Vale la pena
sperare e a Natale di fare il presepe. 

G.B.

 

Si ringrazia Fabrizio Luongo per la
collaborazione.

 


 

 

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