In primo piano 17 Dicembre 18

DUEMILA ANNI SONO TROPPI

BUON NATALE MITZIN

Il lago, di novembre, era già ghiacciato, su una spessa, fitta, indistinta coltre di nebbia, con un cielo gravido di nuvole basse, a formare una unicità spettrale, che solo le guglie, pseudo gotiche, della chiesa dei santi Nikolay e Grigory stavano a vulnerare, come una estrema irriducibile propaggine della realtà.
Mitzin, era, come al solito, indaffaratissimo per far si che tutto fosse in regola, per il Monsignore. Fin da quando in quei tempi e luoghi amari portatogli infante da mano anonima e impietosa, ed era stato accettato da quel Sant’ uomo di Padre Emmanuel, viveva per questi, per rendergli meno triste la cecità che l’aveva colpito. Ma solo la cecità delle cose e dei corpi, perché nelle tenebre della natura, il Monsignore vedeva Dio, con gli occhi dell’anima.
Mitzin era stato un chierichetto, poi sacrestano, artigiano restauratore e artista come quando aveva creato quel bellissimo calice, così bello da essere considerato acheropita, per il soffio che lo aveva, lui, imberbe, ispirato. Aveva fatto il magazziniere, il sarto, l’edile, il calzolaio, il vivandiere, il cuoco. Padre Emmanuel diceva di lui, che la Provvidenza non gli avrebbe potuto mandare qualcuno migliore. Del resto il Monsignore pur essendo un Sant’uomo e un sapiente non era ben visto, “dove si puote”. Si sa, l’invidia, o meglio come diceva Sartre “le diable probablement”, la sua fama di Santo o anche di “Santone”, per alcuni suoi presunti miracoli, ma anche per il suo credere ai limiti dell’eresia, in un sacerdozio umile, modesto, spoglio, tribolato, insomma mistico e si sa il misticismo preoccupa il laicismo ecclesiastico.
Era stato relegato in quella piccola “Porziuncola” dei Santi NiKolay. e Grigory. ai confini del possibile, in un posto tanto suggestivo quanto ormai irraggiungibile, in quei luoghi freddi in quei tempi ancora più freddi.
I tempi erano quelli che erano, tutto è relativo, tutto è assente. Non c’erano più quei vecchi, per quanto pochi, di quel villaggio limitrofo, che via via erano scomparsi con esso, per età, per fatalità, per necessità. Mitzin non voleva dare questo dolore dell’abbandono, al vegliardo cieco e quando poteva suonava le campane e suonava e suonava e vociava e cantava e faceva un gran baccano, era addirittura riuscito a diventare ventriloquo; cambiava voce e quando c’era messa costringeva suoi amici lontani non così sordi ma sempre immaginari a venire a realisticamente a partecipare. Tanto, pensava, “Lui non vede”, anche se non è che fosse convinto, che lui non vedesse veramente, o perlomeno non capisse. Potenza di un amore e di una riconoscenza che solo un animo sensibile fino all’autolesionismo come quello del nostro caro, ineffabilmente buon amico Mitzin, poteva avere. Aveva giurato, che finché Lui fosse stato vivo, quella dedicata alla riconoscenza, sarebbe stata la sua vita, poi si sarebbe provveduto. Qualcuno avrebbe provveduto. Impedire che quel Santo, potesse soffrire per lo stato di irrispettosa solitudine non solo da parte dei superiori ma soprattutto dei fedeli, Lui non lo avrebbe sopportato. Mitzin, povero orfano, ricordava l’amore ricevuto e quell’abbraccio di quel grande Uomo, che annulla il freddo e la paura, come un irrinunciabile imprinting. C’erano anche problemi economici, ma Mitzin si adattava a tutto e vendeva nei primi abitati raggiungibili, i calici e le statuette dei Santi che sapeva fare così bene, neanche le sue mani fossero il riflesso delle mani di Gesù, come dirà qualcuno, che guariscono e creano. La Fede, però no, non l’aveva trovata, perlomeno così convinta, nonostante fosse cresciuto lì, Mitzin, in quel posto ieratico in quella Betlemme ghiacciata, che rappresentava geograficamente un po’ l’anima degli agnostici , trafitta dal dubbio di un raggio divino, proprio come le guglie dei Santi Nikolay e Grigory trafiggevano insolite e impreviste il panorama ibernato. Da un po’ di tempo, poi, la perfezione della sua abnegazione vacillava. Il sacrificio era sempre maggiore e la chiesa vuota. Si viveva una sorta di deserto dei Tartari, alla Buzzati, inverso, come l’attesa del bene e dell’arrivo del calore umano invece, che l’arrivo del nemico. Monsignore pregava Dio, chiuso ormai sempre più nella sua mistica estasi, ma convinto che la Sua parola fosse ancora di conforto, la Sua preghiera fosse coinvolgente, la sua benedizione, fosse invocata, la Sua impetrazione accordata. Come ai tempi in cui i suoi occhi vedevano, come quella volta, che si diceva avesse risvegliato da una presunta morte una bambina e tranquillizzato quella donna disperata fino alla pazzia e lenito il dolore insopportabile o convertito le peggiori isterie delle anime. Ma lui Mitzin per la sua giovane età, a confronto con il suo sacrificio di cui constatava l’esperienza di ignavia collettiva e di accidia snervante, era sempre più sfiduciato. Cose che succedevano, seppur inspiegabili, in quel microcosmo onirico dei Santi Nikolay e Grigory.
Una notte, alla vigilia di Natale di più cupa solitudine quando il Lago era ancora più ghiacciato e la natura stessa rappresentava come una sospensione anticipatrice, del trionfo del nulla, Mitzin era definitivamente stanco. Aveva come sempre suonato le campane con quell’intento duttile, appena consapevolmente inutile di richiamo inascoltato , ma neanche la vecchia campanella dei santi Nikolay e Grigory aveva risposto. Aveva sempre, Mitzin, saputo riparare la campana corrosa dal freddo e dal tempo, ma quella volta non riusciva o perlomeno lui non sentiva il suono che Padre Emmanuel gli aveva spiegato, scaccia il diavolo perché lo spaventa e chiama gli angeli a raccolta. Allora corse con animo trafelato dal Santo e gli disse: “Padre io debbo confessarmi , debbo liberarmi. Non c’è più niente, io cerco di ascoltare ma non sento, cerco di vedere, ma pur avendo la vista non vedo, se non il freddo, il ghiaccio e la nebbia , la paura, il dolore, l’assenza . Non viene più nessuno, sono andati via tutti, sono mancati, sono scappati e quelli che li che avrebbero dovuto sostituirli, non sono stati creati . Duemila anni sono troppi, Padre, il Signore deve tornare, l’aveva promesso. Non ci doveva lasciare soli, troppo tempo, troppe minacce, troppe lusinghe contrarie, troppo dolore. Perché questa sofferenza distribuita a caso, questa indifferenza così insinuata, perché il male, qual’é il significato?! Qual’é la ragione di tutto questo ? Poteva avere un senso il messaggio divino nel tempo , la parola gettata lì per far giungere il pensiero, la verità. Ma se si è visto che il messaggio non è stato ascoltato era necessario ripeterlo. E la morte, non c’è niente di sacro in essa, solo disperazione, nessuno è mai risorto! Duemila anni sono troppi. Padre Emmanuel, sembrò per la prima volta affranto. Cercò di ribattere “Il Signore non ci ha lasciato soli, è con Noi sempre, anche quando tutto è assente”. Allungò le braccia, a destra prima, poi a sinistra , come ad incontrare qualcosa che sembrava aver trovato dal movimento del corpo e dal sorriso che ne conseguì. Ci sono gli angeli, Vedi?! Ma li vedi?! Li senti?! Tutto questo ha un significato, la libertà. l’arbitrio. Più grande è il Dolore più grande la consolazione, il premio! E poi i Santi e i segni di Dio, che chiamano Miracoli, la Pietà, l’Amore. Ma Mitzin lo incalzava: “ma, Padre duemila anni sono troppi, non tutti credono, ci vuole la parola , neanche la campana suona più, e non viene più nessuno, nessuno crede più a niente. L’Uomo contro l’Uomo e su tutto questo silenzio assordante” e scappò via, mentre Monsignore era caduto in ginocchio davanti alla statua della Vergine.
Corse fuori Mitzin e vide quell’uscio solcato un milione di volte , vide se stesso bambino con quell’Uomo che lo accoglieva, vide gli anni adolescenti dell’amore trovato e pure ispirato, rendere i volti cari di quei pochi amici amati e perduti e non sostituiti . Sentì quelle voci, senza sentire i lamenti, sentì un imprevedibile calore, la vita affluire e confermarsi nel miracolo quotidiano, pensò a suo Padre Emmanuel e pregò. “Signore, non far cadere la notte anche nel mio cuore adesso che la mia forza viene meno. Tu sai che ho servito il mio Signore. Tu hai detto che chi dà la vita per gli amici è Santo . Hai detto beati i miti, i misericordiosi, gli afflitti i poveri di spirito . Hai detto che la giustizia è una sete giusta, che avresti ripagato chi soffriva per Te. Perdonami e aiutami, dammi conforto non mi far disperare, fa che mi faccia perdonare dal mio Signore. Fa che dimentichi quello che ho detto, perché la vecchiaia è sacra, soprattutto se è giusta”. Era caduto nella neve ma non sentiva freddo, ma ascoltava il rumore interrotto, il silenzio non assordava più. Sentiva Padre Emmanuel celebrare: “il Signore sia con Voi” e a Lui c’era risposta corale, partecipe, il lago non era più ghiacciato, c’erano piccole barche che lo solcavano, sentì la voce inconfondibile di Yoshua il falegname che pregava più forte, la Signora Mascia che lo aveva accudito bambino, ma non era morta?! Lei gorgogliava la sua litania cara e confortevole. Gli diceva “Mitzin, caro piccolo Mitzin, bambino buono, bambino bello” Le gemelle bionde con cui aveva condiviso piccoli passi di infanzia, andate chissà dove, che non stavano ferme, erano tornate com’erano, uguali ai ricordi e ai tempi. Si alzò andò in Chiesa e vide tutti a pregare e Padre Emmanuel a implorare Dio, la sera di Natale e il suo calice brillare come fosse lievitato e gli sembrò di vedere una figura indistinta vicino al Padre. Una figura difficile da definire, ma che gli sembrava sempre invocata sempre aspirata. Era così proprio come l’aveva sempre pensata e in cuor suo effigiata.
La Chiesa era piena e tutti erano rallegrati, tutto era come avrebbe dovuto essere, tutto era come ci si sarebbe aspettato che fosse. Anche la vecchia campanella aveva ripreso a rintoccare e il suono si spargeva aldilà dei luoghi di Santi Nikolay e Grigory, l’Angelo d’oro l’avrebbe ascoltata. Si svegliò, era troppo stanco, il sonno l’aveva vinto, ma c’era da preparare la Messa della notte di Natale, mettere in piedi il grande veritiero artificio, la rappresentazione sacra. Aveva sognato sicuramente, non era stato reale, ma si sentiva di nuovo bene, confortato, voglioso di lottare.
Il lago era sempre ghiacciato, la neve veniva giù ma non era quella “che infradicia” di Dostoevskij e stranamente, incredibilmente, la campana dei Santi Nikolay e Grigory suonava a festa. Suonava e non faceva niente se non c’era chi l’ascoltava, lei suonava e suonava. Buon Natale disse a se stesso Mitzin e a tutti quelli di buona e caritatevole volontà. Buon Natale, Mitzin, un po’ artigiano per quanto c’è di umano. Buon Natale a tutti i Mitzin e grazie.

G.B.

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Il Welfare bilaterale artigiano, eroga prestazioni e servizi che vanno dal sostegno alle aziende in crisi e al reddito dei lavoratori dipendenti in costanza di rapporto, a interventi a favore delle imprese e del loro sviluppo, all’assistenza sanitaria integrativa e a corsi di formazione professionale, fino alla costituzione di una rete di rappresentanti della sicurezza territoriale.

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